sabato 3 luglio 2021

LA CAPANNA SUDATORIA SECONDO ME

 

 


Devo raccontare com’è che intendo la capanna sudatoria e come la conduco, perché non scimmiotto nativi di alcuna cultura: ne ho troppo rispetto, un Sacro rispetto.

Perché li rispetto, rispetto anche il fatto che noi occidentali (anche se loro sono più ad occidente di noi) siamo diversi da loro, molto. Per cui nessuna parte della nostra cultura trova riscontro nella loro tradizione. Addirittura i linguaggi sono diversi, tale per cui loro non hanno vocaboli che per noi sono abituali, né conoscono i concetti che esprimono. Vale anche il contrario, anche se i traduttori hanno provato a trasmettere quello che loro intendono.

Ci si può solo immaginare, in conseguenza, cosa possiamo capire di come loro intendono la natura, gli elementi, il senso della vita, della comunità, dello Spirito.

Una cosa, quella che mi ha spinto a seguirli nella mia ricerca, la so ed è racchiusa in una frase di un loro Uomo Medicina che lessi all’inizio del mio percorso: “O lo Spirito fa crescere il grano, o sono solo chiacchiere da imbecilli”.

Questo accomuna tutte le genti di tutte le tradizioni, ma non noi, che invece vediamo le due cose, Spirito e Materia, in contrapposizione, con l’una che esclude l’altra.

Senza attingere alla loro cultura si può usare la struttura che ci hanno mostrato, impararne le modalità di costruzione e utilizzo, mooolto materiali e faticose, e adattarvi la nostra cultura. Per lo meno per coloro che hanno intenzione, o necessità, di accedere a sé stessi in quella che può essere catalogata come parte spirituale. Ci sono miliardi di vie e strade, sia chiaro, e non sto dicendo che questa sia meglio delle altre. Ma, proprio perché serva a “far crescere il grano”, non ha senso utilizzarla folkloristicamente e come un’esperienza alternativa una tantum.

Ho partecipato alla mia prima capanna in una fredda sera di gennaio del 1990 e da quella volta ho incontrato le più svariate forme di questa “cerimonia” condotta da Nativi, da emuli e da improvvisatori, e ho piena contezza, quindi, di cosa è per me e come mi sento di proporla a chi ne vuole far uso.

Il cerchio, le direzioni, gli elementi, il sudore e il dolore sono insindacabilmente un linguaggio comune col quale, ad un certo livello, si manifestano i simboli e tutto ciò che essi evocano. Questo resta fisso. Ma nella nostra cultura non c’è spazio per la relazione che hanno con noi stessi, se non a livello intellettuale e poetico. Negli uffici o in qualsiasi altro posto di “lavoro” (una delle parole che loro non hanno nel loro vocabolario) può entrare uno qualsiasi dei simboli detti come tatuaggio alla moda o come strascico di un weekend passato in bella compagnia. Ricordo alcune figure, tutt’ora in circolazione, che erano venuti a far la capanna perché “ghe xe babe nude” (per i non triestini, ci sono donne nude), e non faccio fatica a credere che poi abbiano continuato a farle e a proporle poi con gli stessi ideali.

Ma lasciamo perdere cosa non è la Capanna Sudatoria, che a qualsiasi livello e sempre un’esperienza di sé che qualcuno fa, ed è la benvenuta, pur se condotta alla maniera new age più spudorata.

Credo che l’intendere la capanna sudatoria come un mezzo per purificarsi sia frutto della mentalità cattolica che ci attribuisce una impurità originale seguita per tutta la vita dalle altre che si accumulano e che vanno eliminate per poter accedere al mitico regno di dio.

I Nativi, quelli che non si sono sottomessi al cristianesimo, né ad altre religioni, quelli che sono rimasti ancorati alla loro tradizione originale, non hanno la minima contezza di cosa sia l’impurità, per cui non possono concepire di fare qualcosa per eliminarla e ripristinare la purezza. L’Umano vive per fare del suo meglio in collaborazione con lo Spirito e con Madre Terra, cominciando con l’imparare dagli anziani e poi da sé stesso, attraverso le esperienze che incontra.

La consapevolezza che in certi momenti della vita necessitiamo di una coscienza speciale, non ordinaria, ha fatto sì che immaginassero dei riti e delle cerimonie che la portino alla luce, la facciano affiorare dalle polveri abituali del quotidiano, per poterla percepire in sé e utilizzarla al meglio. La capanna sudatoria è uno di questi strumenti.

Il loro stile di vita ha poco a che fare con il nostro, quello cosiddetto civile, e la coscienza non ordinaria, per loro, deve illuminare quello che per loro necessita di cambiamento, di nuova attenzione, di radicale trasformazione. Per cui i loro riferimenti sono le loro radici, i loro canti e le loro relazioni con il Tutto. E non sono i nostri. I canti, per esempio, loro li hanno “ricevuti”, chi nelle visioni, chi durante una cerimonia particolare, chi in sogno, ma sono tutte articolazioni di un linguaggio da usare da loro per loro. Di sicuro, essendo canti, hanno anche un veicolo di bellezza che a noi può risuonare, ma non hanno per noi alcun significato.

Dovremmo imparare a “ricevere” dei canti anche noi, se ne fossimo capaci, ma credo che usare i loro, a parte il piacere di cantarli, non serva ad altro che a credere in qualcosa di cui non solo non si sa niente, ma che nemmeno c’entra con noi e la nostra vita.

La capanna è un “attrezzo” che , come la zappa, il martello o il computer, si può usare a qualsiasi latitudine.

Detto questo, ritengo che per noi europei non ci sia niente di più difficile che generare deliberatamente quelli che in ogni tradizione (anche la nostra) vengono chiamati “sentimenti di guarigione”. Preferiamo aspettare che succeda qualcosa che ce li faccia provare. Ecco che l’Amore, la Compassione, il Perdono e la Gratitudine sono concetti, distanti dal nostro corpo e ben abbarbicati all’ideologia. Il Corpo, l’Anima, la Mente e lo Spirito sono etichette a contenitori di concetti utili per i corsi della domenica. E al “lasciar uscire” qualcosa che è già lì e non aspetta altro, attaccandosi al sudore, preferiamo il “tirarlo fuori”, depurarlo.

Con la capanna si impara che non c’è niente da togliere via, ma che se lasciato uscire, c’è molto di ciò che ci serve nella vita quotidiana.

Nostra.

Delle nostre latitudini.

Dunque, vista la filosofia che delimita lo spazio in cui mi muovo nel condurre la capanna sudatoria, vediamo come si snoda poi nella pratica.

Partiamo da alcuni dati oggettivi:

  • è una tensio-struttura di rami di frassino ricoperta da coperte

  • è buio il più possibile totale

  • fa molto caldo

  • si sta seduti sulla nuda terra (su un tappetino o stuoietta) con indosso il meno possibile

  • si richiede un focus determinato

  • ci sono “altri” di cui aver rispetto pur potendo smanettare i propri neuroni

  • Spirito e Materia sono le due facce della stessa medaglia

  • è una pratica e non una gita nel folklore e per questo

  • si fanno affermazioni e non preghiere

Che detta così non è che racconti molto. E sono qua apposta.

La capanna sudatoria è una pratica in cui ci si trova a contatto con alcuni propri limiti fisici, non molto dissimili da quelli che si incontrano in altre pratiche, che ci mettono a confronto nel nostro rapporto con noi stessi e con le nostre abitudini, comunemente chiamate “comfort zone”. Niente di che, perciò, solo un mettersi in un ambiente non abituale. Che in questo caso è molto simile ad una sauna. E chi la pratica ne conosce i benefici.

Questa pratica, come la propongo io, è un inserirsi nelle analogie fra il mondo che ci circonda e quello che ci abita. I cicli della vita là fuori hanno gli omologhi all’interno, e un modo interessante di uscire dalla zona di comfort è quello di scoprire se siamo o meno, in relazione con i due mondi, che hanno le loro modalità ben definite. Per questo ci prepareremo prima nel conoscere e comprendere le 8 direzioni dell’orientamento, proprio per avere gli strumenti con cui tornare a casa, là dove siamo da quando siamo nati, pur se da quel luogo molto distanti da decenni.

Lavoreremo con i 4 sentimenti di guarigione generandoli deliberatamente e li faremo uscire insieme al sudore, per prenderne coscienza. Lavoreremo sui 4 livelli della consapevolezza, come voluto dai cerchi della struttura, e ricorderemo chi siamo. Accogliendo in sé la responsabilità della Libertà.