sabato 22 agosto 2020

Siamo noi i creatori del nostro creatore

 

 

Ho scoperto oggi che c’è chi attribuisce agli Hopi dell’Arizona una storia della creazione che ho già sentito, simile, come proveniente dall’induismo, dove Brahmann faceva le stesse cose in una sessione con gli altri dei.

E rifletto.

In primis sulla definizione de “il creatore”: che creatore è quello che prima crea una cosa e poi la nasconde? Appare, ad un semplice impatto logico, con tendenze schizofreniche. Ciò che è evidente è l’accettazione acritica dell’esistenza di un creatore. Dando per scontato che esista, il lettore o ascoltatore, si eccita all’idea che ci sia qualcosa dentro di lui che debba essere talmente importante, visto che è stato il creatore a nasconderglielo dentro invece che fuori, da sollecitare il suo ego a cercarlo. È più eccitante la caccia al tesoro che il tesoro stesso. Il senso della ricerca, dell’impegno impiegato a riscuotere prima o poi il premio, mette in moto l’entusiasmo ad essere i primi ad arrivarci, con tutto ciò che consegue all’appropriazione del tesoro portato alla luce. Ma togliendo al cercatore la coscienza che il tesoro è già in suo possesso.

Seconda riflessione: essendo il creatore “il creatore”, ci si aspetta appartenga ad una dimensione di esistenza di molto diversa dall’essere che ha creato, con una coscienza molto più ampia di quella della sua creatura, tale per cui si suppone che essa creatura debba quanto meno trascorrere del tempo applicandosi per raggiungere la stessa qualità e quantità di coscienza del creatore. A quale scopo, quindi, nascondergli la sua capacità di creare la “propria” realtà? Non è forse il caso di vedere che, se c’è un creatore che crea una creatura che può a sua volta creare la propria realtà, si manifesta solo un falso koan, un paradosso utile unicamente ad intrattenere la creatura in un’attività talmente coinvolgente da non aver tempo né energie per altre ricerche?

Terza: se qualcuno nasconde qualcosa a qualcun altro è perché quel qualcosa esiste, altrimenti non avrebbe senso nasconderlo. Se non esistesse, non esisterebbe nemmeno la possibilità di nasconderlo. Come posso io nascondere a mio nipote la mia Ferrari, perché non gli venga voglia di farsi un giro, se non esiste? Se mi occupo, invece, di nascondergliela è perché, avendocela veramente, temo che se la usasse si schianterebbe. O me la rovinerebbe. O qualsiasi altra cosa che potrebbe succedere a seguito di quella che io ritengo essere una sua coscienza non sufficiente a guidare una macchina di quel tipo. Ergo, se il creatore nasconde alla creatura la sua capacità di creare la propria realtà è perché esiste. Ma perché lo fa? Qual è la cosa che lo spinge a nascondere il quid?

Quarta: sia in questa storia che in tutte le altre, che dicono la stessa cosa pur usando contingenze diverse, la cosa che viene nascosta non è la capacità di creare la propria realtà, ma il realizzare di averla. Per il creatore è fondamentale che l’umano non ne sia cosciente: perché? Per gli Hopi è perché deve essere pronto ad usarla, per gli elohim è perché, essendo ormai come loro, diventerebbe più potente di loro.

Ciò che sto dicendo qui, aiutato dalla PNL e dopo averlo sviscerato nel libro (che a sto punto rimaneggerò), è che è da millenni che viene manipolata la mappa in modo che l’uomo non riesca a orientarsi nel suo territorio. Se abbiamo la capacità di creare la nostra realtà, quella capacità c’è, da sempre. Esattamente come la cistifellea ce l’abbiamo da prima ancora di essere “sapiens”, ma non ne abbiamo, né mai ne abbiamo avuto, contezza alcuna. C’è, è lì, funziona da sola fin quando il nostro comportamento non la ostacola. Idem per la nostra capacità di creare la nostra realtà.

E cosa è successo nel frattempo? Niente. Nessuno di coloro che vengono descritti come maestri, illuminati, saggi e similari, ha creato la sua realtà, ma ha solo raggiunto livelli di adattamento, a volte altissimi, ad una realtà non sicuramente sua.

Perché?

Ed è qui che c’entra la Programmazione Neuro Linguistica.

I racconti della creazione sopra citati parlano di un creatore che nasconde all’uomo la consapevolezza di essere lui il creatore. Ma come può l’uomo diventare consapevole di essere il creatore della sua realtà se dà per scontato che esiste un creatore che l0 ha creato e che poi gli ha nascosto di essere lui il creatore? In sintesi, utilizzando un linguaggio specifico (la “storia”, il “mito”), si è generato un loop cognitivo inestricabile, in vigore da sempre, visto che sono storie della creazione, cioè dell’inizio.

Ecco che, quindi, continuare a cercare nei saggi del passato i modi migliori di vivere una realtà creata dal creatore che ci ha tenuto nascosto che siamo noi i creatori della nostra realtà, non fa altro che perpetuare il loop, depistandoci dalla possibilità concreta, reale e definitiva di esserlo veramente.

Il creatore che ci ha creato con la capacità di creare la nostra realtà, siamo noi.

Ora, capito questo, basta utilizzare gli stessi meccanismi e cambiare il linguaggio per riprogrammare i nostri neuroni ad accogliere una mappa che descriva un territorio nel quale attuiamo consapevolmente la nostra attitudine.

Ce lo siamo nascosti da soli: sveliamocelo da soli.

giovedì 9 luglio 2020

Ruota dei Tiranni spiegata di più.


La “Ruota dei Tiranni”, come tutte le ruote di medicina, è uno strumento utilizzato in chiave sciamanica. Ben lungi dall’essere un folkroristico giullare per turisti, lo sciamano prima sperimenta il problema nella pratica e poi trae le conclusioni. Prima fa l’esperienza e poi se la spiega o la spiega. 
Le sue conoscenze sono sempre e comunque “mappe”, strumenti per orientarsi, indicazioni di marcia, e non “territori” in cui il “paziente” viene immesso affrancandolo dalla responsabilità di prendersi cura di sé stesso. 
Ogni Ruota di Medicina, essendo una mappa, serve a due scopi fondamentali: ad orientarsi nel territorio ostile che senza mappa è solo caos, e a conoscere sé stessi in relazione allo spazio in cui ci si trova.
Per usare le mappe è necessario essere un guerriero
Il guerriero è un essere umano che ha deciso di agire la propria libertà, smettendo di essere agito dalle sue convinzioni e credenze e di essere schiavo di condizionamenti abituali acquisiti.
Viene definito guerriero quell’individuo che sa che avrà delle difficoltà più o meno gravose, ma che sceglie di correre il rischio piuttosto che restare intrappolato in consuetudini corrosive e debilitanti. Sceglie di “morire pur di vivere” invece di “vivere aspettando di morire”. È a questo individuo, se si rivolge allo sciamano, che egli indica la strada, fornendogli la mappa per cercare la sua, e sostenendolo nell’ intento.
La tradizione dice che il guerriero (se è tale) dispone di 4 qualità e di 6 attributi, di cui 1 esterno.

Le qualità sono:
  • La PAZIENZA (Est)
  • La GENTILEZZA (Sud)
  • La SPIETATEZZA (Ovest)
  • L’ ASTUZIA (Nord)
Sono qualità dell’essere guerriero, che lo distinguono dall'individuo normale il quale confonde la Pazienza con l’Inanità, la Gentilezza con l’Adulazione, la Spietatezza con la Crudeltà e l’Astuzia con la Furbizia. Queste qualità  vanno coltivate durante l’intera esistenza, in ogni momento della propria vita, ottenendo quella che viene definita da Don Juan Matus l’ “impeccabilità del guerriero”. Alla lunga fanno parte della sua personalità, sono identificative del suo modo di essere sul pianeta, in relazione a tutto ciò che lo circonda.

Gli attributi interni sono:
  • CONTROLLO
  • DISCIPLINA
  • TEMPISMO
  • EQUILIBRIO
  • INTENTO (differenzia un individuo normale da un guerriero più degli altri attributi, e tiene in collegamento gli altri cinque)
Armato delle sue qualità, quando si appresta a compiere qualsiasi nuova sfida, pianifica una strategia di azione e vi applica gli attributi interni.

Il guerriero, però, ha sempre contezza che il suo scopo ultimo è l’avere in sempre maggior quantità energia a disposizione. È fondamentale, perciò, che non disperda e sprechi quella che ha, sia di default, sia acquisita. Egli è consapevole che spreca la maggior quantità di energia nel mantenere in vita la sua importanza personale.

L’importanza personale, che qualcuno chiama ego, ci obbliga a sprecare il 95% della nostra energia vitale, nel tentativo di dimostrare di essere “troppo” qualcosa: grassi, vecchi, intelligenti, furbi (diverso da astuti), buoni (diverso da gentili), stronzi, disponibili (diverso da pazienti), crudeli (diverso da spietati), belli, fighi, eccetera.
È una vera e propria attività che impegna tutta la nostra vita e per la quale investiamo, e dissipiamo, tempo e soldi e relazioni.

Una delle sfide più importanti del guerriero è dunque quella di smettere di sprecare energia eliminando la sua importanza personale. Per fare questo, oltre ai 5 attributi descritti sopra, usa un elemento esterno, il Tiranno, che è un suo attributo perché, in realtà, è una sua proiezione.

Il Tiranno ci distoglie dalla nostra normale attenzione al fine di averla per sé, costringendoci a sprecare la quasi totalità della nostra energia nel tentativo di recuperare il nostro stato precedente al suo arrivo.
Saperlo ci permette di scoprire dove l’importanza personale applica la sua azione, proiettandola all’esterno e agganciadolesi, per poterla smettere. Ha l’opportunità di svegliarsi, di vedere con gli occhi della consapevolezza, dove e con chi e perché cerca inconsciamente di mantenere viva la sua condizione di “strumento” degli altri pur di potersi ornare della sua importanza personale.

Se non ha la fortuna di incontrarlo sulla sua strada, il guerriero è costretto a cercarlo” dice Don Juan a Castaneda. Qui entra in gioco la “Ruota dei Tiranni”, uno strumento potentissimo per riprendersi il proprio potere e smettere di sprecare energia vitale.

Armato dei suoi attributi, con alla testa l’ intento, il guerriero si pone al centro della Ruota, attorno alla quale sono seduti gli otto “interpreti” dei tiranni, che ha scelto fra i partecipanti; seduto di fronte al tiranno del sud (perché il sud è il “posto” delle emozioni) espone il suo punto debole del momento, risponde a domande, utili ad ogni tiranno per focalizzare la propria azione, e finalmente comincia ad interagire con tutti e otto, i quali portano in evidenza quello che comunque sta succedendo nel quotidiano del guerriero.
Il guerriero può “vedere” l’attenzione a cui è rimasto attaccato (che va invece cambiata) e può scoprire come e su che cosa la sua importanza personale lo costringe a sprecare l’energia, nel tentativo di mantenersi nello stato addormentato in cui era e nel quale (in quanto ancora essere umano normale) voleva restare.

Il lavoro è utile e interessante solo se l’ intento del guerriero è così potente da guidarlo ad evolversi togliendosi i viluppi (svilupparsi) di un modo di vivere ordinario per entrare libero in una vita straordinaria.

Per permettere che questo lavoro sia il più possibile utile e funzionale, c’è la necessità di disporre di veri tiranni, impeccabili nella loro funzione, assolutamente gentili, pazienti, spietati e astuti, cioè. Abili praticanti dell’arte dell’agguato e della caccia. Veri guerrieri, insomma.

Quindi, prima di costruire la ruota e di utilizzarla, c’è bisogno che i guerrieri, futuri “tiranni”, siano forniti della conoscenza e dell’allenamento utili ad assolvere a tutti e otto i ruoli, perché sarà il guerriero che vuole sedersi al centro a scegliere chi e dove starà seduto attorno a lui. Nello scegliere, sa che ognuno dei suoi compagni è in grado di impersonare tutti i Tiranni, ma sente che l’impeccabilità di ognuno lo renderà più potente in un ruolo specifico.

Se la parte dura e faticosa del lavoro, è quella di permettere ad un guerriero di disporre di tutta la sua energia e di imparare a non sprecarla più, la parte divertente è quella di imparare ad essere tiranni del guerriero, riconoscendo, prima di tutto, che, per gli altri, gli “altri” siamo noi. E per quanto ci sentiamo (importanza personale) dei creaturini dolci e simpatici, in realtà per qualcuno siamo un tiranno... forse più di uno.

 

 

p.s.: La conoscenza di questa e delle altre Ruote, avendola pagata lautamente, l’ho avuta dalla Deer Tribe https://www.facebook.com/DTMMS; mia è l’abilità nell’uso e nella pratica, che ho acquisito in 30 anni di esperienza mia.

lunedì 29 giugno 2020

Solitudine e Consapevolezza

Solitudine o isolamento?


Mentre l’isolamento, che sia auto inflitto o imposto, è la percezione del distanziamento da altri esseri umani ben identificabili e della cui esistenza si è assolutamente coscienti, la solitudine è un ritiro in sé stessi anche in contesti di inclusione dove si è resi partecipi di attività in relazione a individui singoli o in gruppo.
La solitudine è la percezione di un incontro/scontro con sé stessi, l’isolamento di un confronto con gli altri.
C’è una sensazione diffusa di solitudine, di questi tempi, che l’isolamento imposto dalla pandemia ha solo accentuato, a causa delle manifestazioni di egoismo e analfabetismo funzionale.
Per molti, ciò che prima era un disagio galleggiante nel proprio quotidiano, è diventato uno stato di angoscia in profondità, da dove la sensazione di non appartenere a questo mondo, a questa specie è affiorata prepotentemente.
Si sono chiusi rapporti, con sconfortante sorpresa, fra amici di vecchia data, fra persone che ritenevano di avere punti di vista comuni. Ciò che avrebbe potuto renderci migliori, ha sdoganato, invece, in maniera sconvolgente, il peggio.
È apparsa, quindi, una sindrome nuova, quella di chi non vuole tornare alla vita di prima, ma che, anche, non vede possibilità di una vita migliore.
Voglio essere vicino a chi in questa bagarre ha percepito più in profondità la propria solitudine. E dire loro che non è più tempo di soffrirne.

TERZOPRINCIPIO DELLA DINAMICA.

A differenza del primo e del secondo principio, che valgono solamente nel sistema di riferimento inerziale, questo principio vale in qualsiasi sistema di riferimento.
I termini azione e reazione non vanno intesi in successione temporale, poiché si tratta di una situazione simmetrica (di una interazione).
Il terzo principio ha validità sia per le forze di contatto (come può essere tra una pallina da tennis e la racchetta) sia per le forze a distanza (come quelle gravitazionali).
La seconda forza (quella dovuta al principio di azione e reazione) non è intenzionale e non è eliminabile.” 
La fisica ci svela che sta succedendo qualcosa di cui non siamo coscienti, ma che può trasformare la percezione di disagio causata in apparenza dalla solitudine. Anche se ciò che si vede è un mondo di assaltatori e guastatori disadattati, completamente distanti dalla consapevolezza, col Terzo principio della dinamica possiamo interpretare i fatti con una visione positiva.
“… poiché si tratta di una situazione simmetricae la seconda forza “(quella dovuta al principio di azione e reazione) non è intenzionale e non è eliminabile.” È assunto che si stia muovendo una forza uguale e contraria: all’aumento dell’inconsapevolezza sta aumentando la consapevolezza. Il grosso disagio è dato, però, dalla “condicio sine qua non” dell’aumento di consapevolezza: ognuno lo fa da sé solo.
Il percepire la solitudine è l’effetto della consapevolezza che aumenta, che è però data dal fatto che ognuno ci deve lavorare da solo, su di sé, con i suoi strumenti e con le sue sole forze, anche se si percepiscono scemare.



Ancora una riflessione sul terzo principio, non una lezione, però. Le forze in campo, se sono uguali, anche se contrarie, dipendono dal rapporto massa/accelerazione di ognuno dei due oggetti. Ad esempio, non è necessario che la massa degli imbecilli con la loro forza di distruzione debba essere confrontata con quella di un eguale massa di consapevoli. Perché potrebbe essere l’accelerazione a fare la differenza nel rapporto, al punto da rendere uguali le due forze di azione/reazione.
Amo fare un esempio: capitasse di vedere 51 locomotive accese e in azione di cui 50 vanno in una stessa direzione mentre 1 sola si oppone loro, il sistema rimane in equilibrio perché quella che è da sola ha potenza uguale alle altre 50 messe insieme.
Non sto dicendo di avere la volontà di essere quella povera solitaria contro tutti, non dico di scegliere di salvare il mondo. 
Sto dicendo che, quel lavoro pazzesco che ognuno di coloro che lavora su di sé sta facendo, sta producendo qualcosa in un sistema chiuso che ha le caratteristiche sopra descritte. Non cambia niente per la povera locomotiva, comunque deve spingere e deve farlo da sola, come legge universale, comunque percepirà la sua solitudine e la fatica inerente, ma forse, un pizzico di sostegno le arriva dal sapere che ci sono suoi simili nella sua stessa condizione. “Mal comune, mezzo gaudio” diceva un detto, anche se di ben poca consolazione.
Quello che mi preme qui comunicare è che, nel sentire la propria solitudine, non serve farsi del male pensando di essere soli contro il mondo intero. Sta succedendo qualcosa di fondamentale che può essere portato ad un livello sempre più alto, e ce lo sta dicendo la fisica.  

Sta succedendo.  

Ed è quello che conta.
Non siete isolati, ce ne sono altri in giro per il mondo. Ma non cercateli, perché la “consapevolezza” non si può raggiungere in gruppo. Ci si può ritrovare insieme per condividere la propria esperienza, ci si può donare la propria comprensione e la propria amorevolezza, ma poi si torna, ognuno a casa sua, a continuare a “tornare” a sé stessi.
Approfittate di ogni opportunità di interazione con individui che lavorano su di sé, ma siate sempre consapevoli che non ci potrà mai essere il “partito” dei consapevoli, proprio perché se lo sono, “lavorano” da soli/Soli. 
E di Sole ce n’è sempre uno Solo, in ogni sistema solare. 
 

sabato 16 maggio 2020

No, come prima no!

La Terra rischia di diventare sempre più arida - Galileo

Ero felice, quasi, che si fosse presentata l’opportunità dell’agognato “cambiamento”. Mi aspettavo tempi duri, difficili da supportare con una tenacia di cui non sapevamo niente. Della tenacia, intendo. E nemmeno dell’integrità.

Si è scoperto invece che il tanto sbandierato cambiamento non andava bene: tutti vogliono “tornare” com’era prima. Ognuno a suo modo.

Qui si svela quello che immaginavo e, oso dirlo, intuivo. E cioè che il tanto sbandierato “spirito” non è altro che merce, un prodotto da vendere come qualsiasi altro sul mercato.
Io non voglio assolutamente tornare là dov’era il prima, perché ho fatto di tutto, tutto ciò che era nelle mie possibilità, perché cambiasse, perché l’evoluzione che compete all’essere umano avvenisse.
Ho trascorso, come quasi tutti, i miei 60 giorni di clausura e ho seguito ciò che i social trasmettevano di notizie, articoli, comunicazioni ufficiali di scienza, politica, religione e economia, ho letto e ascoltato le altre campane e anche quelle rotte, quelle tibetane e i ferracci da rottamazione. Anche le voci angeliche e i rutti inveterati. Tutto ciò che potevo osservare, con la brama di vedere che quel cambiamento, quell’evo-luzione stesse avvenendo.
Invece, col trascorrere del tempo, solo un’involuzione sempre più profonda, da schiacciarmi con disillusione e terrore.
Se ritenevo che noi fossimo i creatori della nostra realtà, ho scoperto che sappiamo fare solo produzioni netflix di odio, ansia, assalto, storie di vampiri e di assassini mafiosi o messicani, di ‘ndrangheta e narcos.
E ho capito una cosa: che ci sia il cambiamento è esattamente ciò che spaventa di più proprio chi dice di volerlo. Perché non potrebbero più morire sognandolo. Sarebbero costretti a vivere come avevano sognato, e questo comporterebbe fatica.
Non avevo dubbi da molti anni sul fatto che proprio chi si dice spirituale era il punto debole della famiglia umana, ma non mi aspettavo che si manifestasse questa ecatombe.
Piene, totali contraddizioni, sguardi rivolti al passato, danze imbecilli sulle profezie e sulle voci dai maestri illuminati e dagli alieni. Ma al tempo del cambiamento vogliono tornare, liberi, a come era prima.
Probabilmente, nonostante loro qualcosa è cambiato comunque, ma non è manifesto.
Ho sentito per decenni quasi urlare che siamo tutti uno e che l’amore è la forza più grande dell’universo, ma ora, quando si dovrebbero aprire le menti e le anime al cambiamento, ci sono le tifoserie. E non per due squadre, ma per decine, ancora, a competere per chi vince il campionato.
Non ci torno a com’era prima, no. Io non ci torno. Anche se non so dove andrò né cosa ne sarà di me, io, dov’eravamo prima non ci sarò.
Per questo riparto con il blog. Per questo, dopo averlo lasciato rinsecchire, voglio usarne il potenziale per dire la mia su cosa è PER ME il dopo, quello che voglio, 

che non sia più il prima.


Germogli fai da te - www.stile.it